Cos’è la sindrome dello Scrolling?
Si tratta di una condizione che è strettamente legata all’utilizzo intensivo dei moderni mezzi di comunicazione. Su tutti lo smartphone, ma anche tablet e pc fanno parte del novero. Certo è che è il telefonino, che è ormai diventato un vero e proprio computer portatile in grado di farci compiere le più svariate azioni, ad essersi imposto ormai nella nostra quotidianità.
A tutte le età ci sono persone che trascorrono più ore della loro giornata consultando contenuti con il proprio dispositivo cellulare. E più che telefonare o mandare messaggi, la maggior parte del tempo passa sui social network e nella visione di video spesse volte di dubbio gusto e dal contenuto qualitativo non certo elevato. È facile capire cos’è la sindrome dello Scrolling.
Si tratta di una locuzione che indica il movimento veloce del dito (ed anche degli occhi) compiuto sullo schermo di uno smartphone per passare da un contenuto all’altro. Una cosa che ad esempio facciamo su quei social basati esclusivamente o principalmente sui contenuti video.
Cellulari, smarthphone e tablet sono ormai diventati a tutti gli effetti oggetti irrinunciabili. Dei must have che ci accompagnano ventiquattrore su ventiquattro, ovunque ci spostiamo. Dalla passeggiata all’aperto all’intimità delle nostre stanze domestiche, durante il lavoro, in compagnia, in solitudine, nel tempo impegnato, nel tempo libero e nel tempo vuoto, ormai quasi completamente azzerato e riempito.
Gli oggetti tecnologici sono sempre più utilizzati, oltre che per le loro innumerevoli funzioni strumentali e lavorative, anche per riempire i nostri “tempi morti”. Grazie ad App musicali e ludiche, alla navigazione illimitata in internet e, naturalmente, all’accesso continuo sui social network, quali Facebook, Instagram, Tik-Tok e altri.
Il gesto di prendere in mano lo smartphone, sbloccarlo, aprire e scorrere le nostre pagine social è diventato talmente abitudinario e automatico da meritare la coniatura di un vero e proprio nome:scrolling.
Lo scrolling corrisponde al movimento del pollice che scorre dal basso verso l’alto sullo schermo dei dispositivi touchscreen per recuperare le nuove notizie che appaiono in bacheca o nelle stories. O dall’alto verso il basso per aggiornare le pagine e visionare i feed e le notifiche.
Tale gesto, ripetuto centinaia di volte al giorno in maniera spesso del tutto automatica, è indicato, appunto, con l’espressione infinite scrolling.
Non visioniamo i nostri smartphone soltanto in seguito alla ricezione di notifiche che ci segnalano l’arrivo di chiamate o messaggi, ma anche sulla base di un automatismo. Questo ci porta a prendere il telefono e scorrere le pagine social senza rendercene conto.
Spesso ci “risvegliamo” solo dopo qualche secondo, realizzando il gesto appena compiuto: possiamo a quel punto decidere se continuare a “scrollare” oppure chiudere le App e riporre lo smartphone. Questo verrà tuttavia recuperato di nuovo dopo appena qualche minuto o secondo, come sotto l’effetto di un pilota automatico.
Così, a ripetizione. Alcuni autori (Bayer et al., 2016) hanno definito l’automatismo come un comportamento abituale, impulsivo, fuori dai processi di attenzione, consapevolezza e controllo.
Questa elevata velocità nel consultare informazioni comporta una altrettanta necessità da parte del nostro cervello nel dovere restringere i tempi di assimilazione e di elaborazione dei dati assimilati. La conseguenza più diretta della sindrome dello Scrolling è perciò una ridotta capacità di concentrazione. In molti video social si tende a parlare assai velocemente ed anche ad alta voce – ma la cosa avviene anche in alcune pubblicità – perché questa iperstimolazione ha lo scopo di fissare un concetto od un messaggio avendo a disposizione pochissimo tempo. La media della capacità di concentrazione di chi soffre di sindrome dello Scrolling è compresa fra i 3 ed i 6 secondi, perché il fruitore non riesce a fare di meglio.
Chi è affetto da questa condizione non riesce a concentrarsi a dovere, e perderà via via tale capacità. Con anche delle ripercussioni negative su quella che è la capacità di ascoltare. Tale comportamento è associato ad una sorta di forma di “demenza digitale”, oltre che di manifestazione impulsiva ed incontrollata.
Oltre all’automatismo, quali sono i processi psicologici che mantengono attivo questo nostro comportamento?
Uno dei meccanismi di spiegazione più potenti è quello definito come condizionamento strumentale, che si basa sul concetto di rinforzo positivo.
Tale meccanismo di condizionamento si verifica quando, nel mettere in pratica un comportamento, otteniamo una gratificazione, che funziona da “premio”, (da rinforzo, appunto), spingendoci a replicare il comportamento suddetto.
È stato evidenziato come lo scrolling generi una vera e propria sensazione di gratificazione e piacere, dovuta al rilascio della dopamina. Ciò soprattutto nel momento in cui riceviamo notifiche di like e commenti, che sentiamo di dover assolutamente visionare.
Anche quando ci imbattiamo in post e contenuti neutri o non interessanti, siamo comunque portati ad andare avanti “ancora di uno, ancora di uno, ancora di uno”. In attesa di trovare qualche altra fonte di gratificazione che, senza tardare troppo, prima o poi arriva, alimentando un meccanismo di rinforzo intermittente, che ci tiene incollati allo schermo. In una misura più ampia, questo meccanismo è alla base di tutte le dipendenze patologiche, sia quelle da sostanze, sia le cosiddette dipendenze comportamentali.
In particolare, esistono nuove dipendenze legate alla tecnologia e ai comportamenti disfunzionali on-line, quali dipendenza da internet, da videogiochi, da shopping compulsivo, dipendenza sessuale e da porno, dipendenza da serie Tv e, in ultima analisi, dipendenza da social network.
Oltre al meccanismo di rinforzo positivo legato al piacere, quando si parla di dipendenze, è necessario considerare anche i fenomeni di tolleranza e assuefazione. Cioè il bisogno di aumentare il tempo di attuazione del comportamento per ottenere il medesimo grado di soddisfazione. Nonché il fenomeno di astinenza, cioè il disagio provocato dall’impossibilità di attuare il comportamento fonte di gratificazione.
Nel caso di dipendenza e astinenza da social network è stato coniato anche il termine nomofobia (dall’inglese no-mobile) che si verifica quando si è impossibilitati a connettersi (denominata anche sindrome da disconnessione). Durante il comportamento di scrolling, la nostra attenzione viene catturata non solo da stimoli piacevoli e gratificanti, quali appunto notifiche, foto, meme e altri contenuti gradevoli, ma anche da stimoli negativi o francamenti avversi, che suscitano in noi emozioni spiacevoli quali ansia, paura o rabbia.
Come spiega Ned Presnall, direttore del centro per la terapia contro le dipendenze Plan Your Recovery di St. Louis, in una recente intervista sul Washington Post: “Può sembrare un controsenso che non riusciamo a staccarci dalle cattive notizie. Ma il cervello umano si è evoluto per gestire gli stimoli in modo gerarchico, partendo prima da quelli che sono più rilevanti per la sopravvivenza».
Quando ci imbattiamo in una cattiva notizia, quindi, siamo portati a cercare di saperne sempre di più per una sorta di istinto di sopravvivenza. Questo, tuttavia, se portato agli estremi, diventa più illusorio che reale, più controproducente che benefico.
È ciò che è accaduto, ad esempio, durante il periodo di pandemia da Covid-19 e relativo lockdown, quando ci siamo ritrovati spesso a scrollare compulsivamente siti e canali social alla spasmodica ricerca di notizie e informazioni.
Oltre ai suddetti meccanismi psicologici di mantenimento si aggiungono, ovviamente, tutti quegli elementi grafici delle pagine social, che presentano layout, colori, contenuti e gerarchie sapientemente studiate per attrarci e farci rimanere incollati allo schermo.
I fattori d'innesco
Può essere importante soffermarsi anche sui fattori di innesco del comportamento di scrolling.
Se è vero, infatti, che spesso ci ritroviamo con lo smartphone in mano senza rendercene conto, ad un’attenta analisi potremmo scoprire che, la maggior parte delle volte, appena prima di prendere il telefono eravamo immersi in una situazione per noi non troppo piacevole.
Se iniziamo a prestare attenzione a ciò che accade appena prima del comportamento di scrolling, possiamo scoprire che, probabilmente, ci troviamo in un momento di noia. Per esempio mentre aspettiamo in fila il nostro turno, mentre siamo in attesa alla fermata dell’autobus o, addirittura, fermi per qualche secondo al semaforo rosso.
Oppure, ci troviamo in una situazione di disagio sociale, ad esempio quando siamo in stanza con qualcuno che non ci è familiare e si sta creando un silenzio imbarazzante.
O, ancora, possiamo ritrovarci immersi nel comportamento di scrolling durante un momento di difficoltà a procedere in un compito. Ad esempio quando stiamo studiando qualcosa di complicato o quando dobbiamo risolvere un problema mentalmente impegnativo e ci troviamo in una situazione di impasse, proviamo fatica e la nostra attenzione schizza via dall’obiettivo.
Altre volte ci ritroviamo a fare scrolling prima di dormire, quando siamo già nel letto e non riusciamo a prendere sonno, magari intenti a ripercorre mentalmente qualcosa che ci è andato storto e che ci ha causato frustrazione.
Tutte queste situazioni hanno, come comune denominatore, quello di suscitare in noi emozioni sgradevoli, dalle quali cerchiamo di uscire il prima possibile.
Lo scrolling, sottraendoci da tali emozioni, rappresenta dunque la via d’uscita più rapida e accessibile, sfruttando un altro meccanismo-chiave del condizionamento strumentale, denominato rinforzo negativo. In questo caso, l’incentivo a iniziare lo scrolling non è dato dall’aggiunta di qualcosa di positivo, ma dalla sottrazione di qualcosa di negativo, come appunto un’emozione di noia, imbarazzo o frustrazione.
Come uscirne
Per quanto lo scrolling non si traduca necessariamente in una vera e propria dipendenza, quando inizia ad occupare ogni secondo del nostro tempo vuoto o quando si innesca nei momenti dedicati al lavoro o al riposo, può diventare un comportamento alquanto disfunzionale.
Può dunque essere utile cercare di limitare e circoscrivere il tempo dedicato allo scrolling (Price, 2018). A questo proposito, sono state proposte soluzioni più o meno funzionali, quali ad esempio modificare le impostazioni dei nostri dispositivi per cambiare i colori dello schermo, selezionando scale di grigi a discapito di tonalità più vivide e, quindi, più attraenti e stimolati per il nostro cervello.
Un’altra soluzione può essere quella di avvalersi di una sorta di “parental control” a scadenza temporale, scaricando App che limitano il tempo di connessione sulle pagine social.Soluzioni ancora più drastiche prevedono la disinstallazione dei social network e il ritorno ad un utilizzo più essenziale del telefono.
Tuttavia, quelle appena descritte non appaiono soluzioni facilmente praticabili. Piuttosto, può essere senz’altro più utile promuovere un atteggiamento meno automatico e più consapevole nei confronti dello scrolling: si tratta non tanto di eliminare tale comportamento, ma di renderlo più ponderato, frutto di una scelta cosciente e deliberata.
Un utile esercizio potrebbe essere quello di soffermarsi sui fattori di innesco, in linea con quanto sopra descritto.
Quando sentiamo l’impulso a prendere in mano il telefono per aprire i social e iniziare lo scrolling, o quando realizziamo che lo abbiamo appena fatto senza accorgercene, possiamo fermarci un attimo e chiederci: “Perché proprio ora sento il bisogno di fare questo?”; “Quale emozione sto provando?”; “C’è qualche emozione spiacevole dalla quale sento il bisogno di fuggire?”.
Questo processo può risultare abbastanza complicato, almeno in un primo momento, e necessita di essere allenato. L’obiettivo è quello di ridurre l’automatismo e aumentare la consapevolezza, in linea la pratica psicologica e meditativa della mindfulness (Baym et al., 2020; Colier, 2016)), che prevede di prestare attenzione consapevole al momento presente.
Monitorando il nostro stato mentale, saremo in grado di conoscere ciò che stiamo provando, pensando e sentendo in un dato momento e, quindi, anche di scegliere come vogliamo proseguire. L’obiettivo di questo esercizio di monitoraggio è quello di passare da un processo di stimolo à REAZIONE automatica ad un processo di stimolo à RISPOSTA ponderata.
Con questa consapevolezza, possiamo decidere se iniziare (o continuare) con lo scrolling o scegliere delle alternative. Ad esempio rifocalizzare l’attenzione sul compito che stavamo portando avanti, provare a socializzare, o intrattenerci con App precedentemente scaricate, ad esempio App per ascoltare la musica, fare meditazione o imparare una nuova lingua.
Qualunque decisione (anche proseguire con lo scrolling), a quel punto sarà comunque una buona decisione, perché frutto di una nostra libera scelta, consapevole e ponderata.
Bibliografia
Bayer, J. B., Ellison, N. B., Schoenebeck, S. Y., & Falk, E. B. (2016). Sharing the small moments: Ephemeral social interaction on Snapchat. Information, Communication & Society, 19(7), 956– 977.
Baym, N. K., Wagman, K. B., &Persaud, C. J. (2020). Mindfully Scrolling: Rethinking Facebook After Time Deactivated, Social Media + Society, 1–10.
Colier, N. (2016). The power of off: The mindful way to stay sane in a virtual world. Sounds True
Price, C. (2018). How to break up with your phone: The 30-day plan to take back your life. Ten Speed Press.
https://www.washingtonpost.com/lifestyle/wellness/coronavirus-doom-scrolling stop/2020/07/29/2c87e9b2-d034-11ea-8d32-1ebf4e9d8e0d_story.html
https://www.ipsico.it/news/lo-scrolling-infinito-quando-lo-smartphone-