Fragilità emotiva

Attacchi di panico, Ansia, Terapia di coppia a Cagliari, San Gavino Monreale, Sanluri e Online

Parlare di fragilità emotiva significa considerare come sia un concetto facilmente intuibile da molti ma non presente come categoria psicopatologica a sé stante. E' vero infatti, che possiamo considerarla come caratterizzata da oscillazioni intense e frequenti di emozioni che possono presentarsi in assenza o presenza di eventi piacevoli o spiacevoli.

Improvvise reazioni tra cui di pianto, di collera o sbalzi di umore vissuti come eccessivi in relazione al contesto o alla situazione scatenante delineano i contorni della labilità o fragilità emotiva. In questo stato l'individuo fatica a tollerare piccole dosi di frustrazione, ansia, rabbia che determinano una manifestazione emotiva e comportamentale debordante e vissuta soggettivamente come inappropriata, estranea o fuori dal proprio controllo. 

Sulla base della mia esperienza con i miei pazienti, penso sia corretto definire la fragilità emotiva come quella condizione che rende l'individuo incapace di far fronte alle proprie emozioni, piacevoli o spiacevoli, che si trova ad affrontare così da essere costretto ad evitare esperienze o percepire gli eventi della sua vita come fonte di pericolo o potenzialmente traumatici.

Alcune persone non sono in grado di sopportare un carico di tensione senza che questo comporti un peggioramento del proprio stato di salute, elevati livelli di angoscia, di stress o frustrazione o comportamenti aggressivi o autodistruttivi. Capita che l'aumento del vissuto di stress (specificatamente di distress) e delle emozioni possano portare alcune persone a mettere in atto comportamenti che potrebbero andare contro gli stessi interessi della persona: fughe, attacchi fisici o verbali, comportamenti a rischio per la propria incolumità. 

Penso a chi sembrava dover rimettere assieme i cocci dopo un litigio vissuto come traumatizzante in ambito lavorativo, a chi doveva presentare un lavoro all'università e si trovava senza fiato, con la voce spezzata e bassa all''idea di doverlo presentare ad un pubblico immaginato come pronto a giudicare negativamente, o a quelle situazioni di crollo in seguito alla perdita di una persona importante o, ancora, alla nuova consapevolezza che le cose non erano come si era sempre immaginato: si pensi ai tradimento, alla perdita di fiducia nei confronti di un familiare, alla percezione di impotenza rispetto ad alcuni eventi della propria vita che si dilatano nel tempo senza che l'individuo senta di potervi fare più fronte.

Quasi sempre le persone temono le proprie parti fragili, delicate e si trovano a confrontarle con ideali ipertrofici di forza proposti dall'ambiente sociale, dai media, senza considerare minimamente che nell'ambito delle cosiddette fragilità possono celarsi risorse preziose di noi stessi. L'evitamento della cosiddetta parte fragile impedisce in alcuni casi agli individui di entrare in contatto con parti vitali, quantomeno nei termini che è qualcosa che, volente o nolente, appartiene all'individuo che ne è portatore e che non può venire rifiutato o negato senza un conseguente impoverimento delle risorse psichiche. La negazione della fragilità emotiva, come meccanismo di difesa,  generalmente non solo non elimina la problematica soggettivamente percepita ma, al contrario, suscita anche vissuti di vergogna, il rischio di sviluppare personalità fasulle, bugiardi patologici, o di sviluppare disturbi di personalità di vario tipo. L'evitamento delle fragilità per certi versi comporta l'evitamento del limite e con esso la tendenza dell'individuo a rivolgere invidiosamente lo sguardo al di fuori di Sé alla ricerca di quanto potrebbe permettere illusoriamente un rafforzamento. Lo sguardo va fuori dai confini della sfera individuale senza che il confine venga allo stesso tempo percepito. Spesso, l'evitamento della propria fragilità impedisce all'individuo di entrare in contatto con i propri affetti, sentimenti escludendoli a loro volta non solo dalla relazione con se stessi ma anche dalla relazione con gli altri e da qui l'emergere di vissuti di vuoto, futilità, superficialità o lo sviluppo di disturbi della personalità.

La persona fragile tende spesso a nascondere le sue vulnerabilità, evita i bisogni fino a negarli persino a se stessa (anche in questo caso mettendo in essere un meccanismo di difesa), cosa che determina un'esposizione a stimoli eccessivi rispetto alla propria possibilità di sopportazione in quel determinato momento. Alcuni autori, considerano come sia possibile l'emergere del bisogno di non aver bisogni. Il concetto pare complesso ma darebbe spazio a un nuovo campo di lavoro psicoterapeutico innovativo con cui noi terapeuti dobbiamo interfacciarci. Il bisogno infatti diventa proprio ciò che ricorda all'individuo di doversi prendere cura di sè e di non poter fare tutto da solo; questo incrementa la rabbia rispetto all'impossibilità di bastare a se stessi. In quelle persone che hanno avuto esperienze relazionali precoci deludenti, traumatizzanti o da cui ne sono derivate ferite la percezione del bisogni che implica il bisogno dell'altro comporta anche una percezione, spesso non consapevole, di pericolo che la relazione possa divenire il precursore della ripetizione del trauma. Da qui la necessità di evitare l'espressione della fragilità – che però spesso significa tuttavia anche sensibilità - e l'impossibilità di sviluppare il proprio bagaglio di risorse. Capita che l'incontro tra paziente e terapeuta avvenga come in un negozio di cristalli o di oggetti fragili. Per essere guardati e conosciuto gli oggetti vanno avvicinati ma è bene vengano evitati movimenti bruschi, e sollecitazioni eccessive. Serve sensibilità, rispetto, pazienza, delicatezza dalle parti in gioco e in particolare nel terapeuta a cui il paziente affida cose delicate, preziose e che sono rimaste chiuse all'interno di contenitori sicuri ma isolati spesso per anni rendendo all'individuo indisponibili parti di sè. Altre volte la persona particolarmente fragile può essere paragonata ad un individuo malato che non riesce a bere, mangiare ma trova conforto e cura in un panno fresco sulla fronte, in piccoli gesti, parole, che tuttavia, se non modulati possono divenire invece fastidiosi. Ricordo una paziente, che mi raccontava come da piccola la madre si allontanava per lunghi periodi durante l'estate. La nonna vedendola le chiedeva come mai piangesse e lei rispondeva "per la partenza della mamma". Di tutta risposta la nonna le diceva che non era un buon motivo per piangere e che le persone forti non piangevano. Per anni la ragazza cercò di nascondere o spegnere sul nascere tutte le manifestazioni di dolore considerandole allo stesso tempo aspetti fonte di vergogna e colpa: la voce della nonna era diventata parametro dei suoi vissuti definiti da una parte di sè illeciti. Capita con frequenza che all'invalidazione dell'esperienza emotiva seguano inibizioni, evitamenti e un conseguente impoverimento della propria personalità con vissuti di distanza da se stessi e dagli altri. 

L'accesso alla fragilità viene spesso vietato nella società "dell'uomo – o della donna - che non deve chiedere mai": il bambino che cade e si fa male "non deve piangere", alla separazione dei genitori "deve essere forte", alla morte di un animale domestico non viene dato il dovuto spazio all'elaborazione della perdita e del lutto. Spesso l'individuo, rafforzato dall'ambiente genitoriale che spesso si trova per primo in difficoltà ad accogliere, pensare, elaborare contenuti dolorosi, nega o evita i sentimenti di fragilità che prova di fronte a queste situazioni: evita di pensarle colludendo inconsapevolmente con la difficoltà di pensiero delle persone che lo circondano impedendosi così l'accesso ad esperienze, certo doloroso, ma allo stesso tempo necessarie, vitali, costruttive.

L'ambito della terapia diventa allora il luogo dove poter accostare, ripensare o pensare per la prima volta le proprie fragilità in un contesto che ne legittima prima di tutto l'esistenza. Diventa così possibile poterle riconoscere e avviare quel processo di riappropriazione della vulnerabilità che, a partire da un riconoscimento, nell'ambito di una relazione riparativa, della propria debolezza, permette di acquistare gradualmente forza. Negare l'impatto di alcuni avvenimenti può infatti indebolire intensamente la psiche mentre il condividerli all'interno di una relazione affettiva stabile permette di ricostruire quella base sicura e di fiducia che fa da sostegno all'individuo nelle fasi critiche della propria vita. 

Le difese messe in atto dalle persone fragili sono le più disparate e non sempre nuclei di debolezza sono immediatamente riconoscibili. Spesso sono proprio le persone che ostentano sicurezza o che sembrano iper-competenti in una materia, ipertrofici nel corpo e nella mente, che nascondono punti ciechi sensibili e intoccabili. Spesso lacune o debolezze in un campo portano l'individuo ad allenare, fino a rendere "gonfia" e rigida, un area della mente a discapito di altre. Altre che non ricevono l'attenzione adeguata a permettere all'individuo sufficiente duttilità necessaria a muoversi, vivere e pensare nelle differenti situazioni che si trova ad affrontare. 

Alcune manifestazioni della fragilità emotiva sono sintomi quali ansia, profonda tristezza, depressione, vissuti di estrema inadeguatezza e vergogna, fino ad arrivare a sentirsi sbagliati, terribili, inadatti.

E' possibile sentirsi fragili anche in quelle situazioni di cambiamento e trasformazione in cui diventa necessario abbandonare consolidate consuetudini e certezze come nei passaggi evolutivi della propria esistenza che comportano scelte complesse.

Nell'ambito della relazione con l'altro che sollecita e legittima una nuova relazione con se sessi, le parti fragili possono venire accostate e lette in una modalità differente e da qui favorire sviluppi nuovi.