La formazione sullo stress da lavoro correlato

Psicologo Psicoterapeuta e Sessuologo a Cagliari, San Gavino Monreale, Sanluri e Online


 

L’ingresso nel nostro sistema legislativo del nuovo testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (Decreto legislativo 81/2008), ha introdotto l’obbligo da parte dei datori di lavoro o degli RSPP di valutare “tutti i rischi” compresi quelli di natura psico-sociale (art. 28 d.lgs. 81/08). Ciascun datore è obbligato ad effettuare la valutazione dello stress all’interno dell’ambiente di lavoro, a tutela della salute psicologica dei propri dipendenti. 

Lo stress è  un insieme di reazioni soggettive dal punto di vista emotivo, cognitivo, comportamentale e fisiologico, derivanti dalla percezione di aspetti avversi e nocivi del contenuto, dell’organizzazione e dell’ambiente di lavoro.

Hans Selye già nel 1936, definisce lo stress come un’alterazione dello stato di equilibrio dell’organismo indotto da vari tipi di stimoli interni o provenienti dall’ambiente esterno. A questi stimoli, fa seguito la cosiddetta “Sindrome generale di adattamento”, che si manifesta nell’insieme delle risposte che permettono di adattarsi alle condizioni stressanti.

Lo stress, entro certi limiti può essere una risorsa che ci permette di affrontare situazioni di “emergenza” con più energie, ma quando questo si protrae troppo a lungo nel tempo, può causare dei disturbi, sino ad arrivare a vere e proprie malattie.                                   

 

Tra i principali fattori di stress in ambito lavorativo compaiono i seguenti fattori (nelle parentesi sono contenute alcune ipotesi sulle cause):

 

  1. Quantità di lavoro assegnata, eccessiva o insufficiente. (distonia tra ciò che si sa fare e ciò che richiede il ruolo);
  2. Tempo insufficiente per portare a termine il proprio lavoro in modo soddisfacente sia per gli altri che per sé stessi. (dal punto di vista del lavoratore, poca disponibilità a lavorare in gruppo avendo chiaro il processo – dal punto di vista dell’organizzazione – bassa cultura sulla possibilità di trasferire al personale, competenze sulle procedure da inserire all’interno di un processo);
  3. Mancanza di una chiara descrizione del lavoro da svolgere o della linea gerarchica. (strategie direttive poco chiare per tutti  partire dai livelli superiori);
  4. Mancanza di riconoscimento o ricompensa per una buona prestazione professionale. (scarsa consapevolezza della gestione delle risorse umane orientate all’efficacia ed efficienza);
  5. Impossibilità di esprimere lamentele. (bassa cultura volta alla gestione delle criticità in senso costruttivo);
  6. Responsabilità gravose non accompagnate da un grado di autorità o di potere decisionale adeguati. (scarsa consapevolezza delle mansioni relative al proprio ruolo e scarso orientamento alla gestione delle risorse);
  7. Superiori, colleghi o subordinati non disponibili a collaborare o a fornire sostegno. (ristrutturazione organizzativo/culturale);
  8. Mancanza di controllo o di giusta fierezza per il prodotto finito del proprio lavoro. (mancanza di consapevolezza rispetto all’importanza del proprio ruolo);
  9. Precarietà del posto di lavoro, incertezza della posizione occupata. (scarso lavoro di gruppo orientato alla collaborazione col management per la presa di decisioni di gruppo);
  10. Essere oggetto di pregiudizi riguardo all’età, al sesso, alla razza, all’appartenenza etnica o religiosa. (scarsa cultura di gruppo);
  11. Essere oggetto di violenza, minacce o vessazioni. (scarsa chiarezza dei ruoli, competenze, mansioni e scarsa gestione delle risorse umane);
  12. Condizioni di lavoro spiacevoli o lavoro fisico pericoloso. (bassa cultura della sicurezza);
  13. Impossibilità di esprimere effettivamente talenti o capacità personali. (scarsa consapevolezza della gestione premiante a scapito delle competenze strategiche potenzialmente emergenti);
  14. Possibilità che un piccolo errore o una disattenzione momentanea possano avere conseguenze gravi o persino disastrose. (bassa cultura sulla sicurezza aziendale);
  15. Qualunque combinazione dei fattori summenzionati.

 

I danni provocati dallo stress sono in continuo aumento e comportano gravi problemi sociali ed economici. Valutare tutti gli eventi stressanti percepiti dal lavoratore all’interno dell’organizzazione permetterebbe al formatore di avere elementi oggettivi (problemi organizzativi) e soggettivi (su come viene percepita la propria organizzazione) da cui partire. In sostanza se la fonte di stress si ripercuote nell’attività lavorativa è necessario valutare lo stress individuandone l’effetto e parallelamente isolare le variabili individuandone la causa e i cosiddetti “eventi scatenanti”.

 

L’accordo Europeo menziona alcune specifiche “dimensioni” che devono essere monitorate. Nello specifico: il disagio in ambito organizzativo (quindi disfunzionalità organizzative), mobbing, burnout e sindrome da corridoio che dovranno poi essere approfonditi con eventuali colloqui clinici individuali.

 

Dopo la valutazione dello stress, si passa alla terza fase relativa alle azioni informative e formative che permettono al formatore di abbassare i livelli di stress all’interno dell’organizzazione. In questa terza fase il ruolo del formatore è strategico. Rispetto agli aspetti informativi è necessario spendere una dovuta informazione dal punto di vista  tecnico.

Il tipo di formazione del personale sulle dinamiche relative allo stress nelle organizzazioni, è orientata a produrre un cambiamento.  Il cambiamento deve essere proiettato ad un miglioramento nella messa in atto delle “best practies” per la sicurezza sul lavoro e relazionali per migliorare e meglio interpretare i “comportamenti e le relazioni organizzative” a tutela della salute del lavoratore. Agire sul cambiamento significa spesso far emergere quegli aspetti latenti che l’organizzazione tende a sottostimare.  Tutto ciò che non viene dichiarato espressamente rimane latente; “il non detto” da parte dei vertici aziendali rappresenta un significato poco chiaro e questo aspetto permette ad un organizzazione di vivere nell’ambiguità.

 

Permettere alle risorse di conoscere o creare le “regole non dette” dell’organizzazione alla quale appartengono, consentirebbe loro di rasserenarsi e rassicurarsi rispetto a possibili interpretazioni errate del vissuto aziendale che si ripercuotono spesso nella qualità delle mansioni espletate da ciascun ruolo contribuendo in questo modo, a far emergere un livello di stress poco accettabile.

 

Da questo punto di vista siamo ancora ad un primo livello di informazione. Agire sulla formazione del personale significa agire sul cambiamento. Già di per sé l’informazione del personale, rappresenta un cambiamento perché agisce sulla presa di consapevolezza (del nuovo sapere) del modo di vedere l’org.zione anche solo per il che un’agente esterno (il formatore) informa il personale su aspetti che loro davano per scontati e per i quali non erano a conoscenza.

Nella formazione del personale al fine di abbassare i livelli di stress è  necessario agire su un’informazione volta a permettere alla risorsa di comprendere cosa significa stress. Spesso si usa il termine stress in termini negativi senza sapere che tale termine non dice niente se non è abbinato ad una desinenza; di-stress riguarda un aspetto cronico che si manifesta in un disagio prolungato nel tempo da parte della risorsa. Eu-stress riguarda invece un tipo di stress acuto che permette alla persona di migliorare le proprie capacità e incrementare le competenze sul lavoro al fine di migliorare la propria prestazione lavorativa.

Arriviamo in questo modo alla formazione del personale.

Tante sono le scuole che si sono succedute nel tempo e così tante le tecniche messe in atto per migliorare il benessere organizzativo e quindi ridurre lo stress percepito all’interno dell’organizzazione.

Da un certo punto di vista non è necessario distinguere l’intervento informativo da quello formativo per i motivi già esplicati, quindi l’informazione può essere data contemporaneamente alla formazione basata su interventi specifici.

Indipendentemente dal tipo di organizzazione e di come questa viene percepita dalle risorse, è doveroso creare coinvolgimento. Non è un caso infatti che l’intero processo formativo dovrebbe essere orientato anche a migliorare il livello di empowerment organizzativo.

 

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